La digital art storica di Marjan Moghaddam per il nuovo MoCDA virtuale
Il MoCDA inaugura la nuova sede negli spazi virtuali di Decentraland con una mostra di Marjan Moghaddam, pioniera dell’arte digitale, dagli anni ’80 a oggi
Lo scorso 8 giugno ha inaugurato la mostra “Digital Embodiment”, una ricca analisi sulla carriera ancora oggi attiva dell’artista iraniana Marjan Moghaddam, curata da Filippo Lorenzin e Serena Tabacchi: la mostra, che rimarrà visibile fino ai primi di settembre, è la prima del MoCDA – Museum of Contemporary Digital Art, nella nuova sede metafisica in Decentraland. Nella stessa settimana d’inaugurazione della mostra è stato presentato anche il nuovo spazio di Sotheby’s nel metaverso, in concomitanza con la prima asta curata di NFT della casa, che nel Voltaire Art District ne replica lo spazio londinese.
Nel pieno del distretto universitario si trova invece il nuovo edificio del MoCDA, progettato in collaborazione con il team di Decentraland con linee minimali e grandi aperture verso l’esterno. La scelta di non inserirsi nel Museum District, sottolinea il curatore Filippo Lorenzin, è stata dettata dalla necessità di evidenziare la mission educativa, tesa a divulgare gli aspetti teorici e pratici dell’arte digitale in modo puntuale e coinvolgente.
Al primo piano del meta-museo si apre la mostra disegnata da Andrea Isola, exhibit designer che ha lavorato a molte mostre fisiche, tra cui Affordable Art Fair di Milano, Artefiera e Flashback. Divisa su tre sale, tocca i punti salienti della carriera di Marjan Moghaddam ponendo l’accento sull’evoluzione della tecnologia utilizzata. “Embodiments”, il primo dei tre ambienti, accoglie le opere che dagli anni ‘80 fino ai giorni nostri indagano la figura femminile e le tematiche di genere. Marjan Moghaddam inizia a sperimentare con il digitale durante gli anni del college attraverso il Commodore64 e il Super Computer. «Nel momento in cui gli artisti lavoravano con cerchi, triangoli e poligoni colorati, io aprivo una vagina su una testa», commenta Moghaddam scherzosamente riferendosi alla sua opera PMS del 1989, un breve video elaborato frame-by-frame con il programma Amiga, che vede protagonista Vava Vol, una performer appartenente come Moghaddam alla prolifica scena dell’East Village newyorkese.
A fianco di questa prima opera troviamo The Avatar, l’immagine icona della mostra, la cui genesi risale al 1995. In quell’anno e durante una mostra, Moghaddam presenta se stessa come tela su cui proiettare dei video e dalla rielaborazione digitale degli still del video della performance nasce The Avatar.
Ma l’opera che per forza di cose risalta di più entrando nella sala è la scultura che completa questo trittico evolutivo: Spharen Wanderer, del 2015. Il lavoro fa uscire dalla bidimensionalità del video una delle figure protagoniste delle opere di Moghaddam a cui viene affidato il compito di indagine della cultura occidentale. Sono queste identità liquide a svelare il “male gaze” e l’influenza a cui i corpi non maschili sono sottoposti ogni giorno e in ogni contesto. Moghaddam ricorda gli anni novanta e gli albori dell’arte digitale come wild times durante i quali le artiste e gli artisti parte delle silica companies degli albori non prendevano in considerazione la globalizzazione, ma guardavano al futuro con l’ingenuità tipica dei sognatori.
La seconda sala, “Merging Identities”, è dedicata invece ad un’identità più definita: #GlitchGoddess. Una delle figure più conosciute di Moghaddam perché nel 2018 diventa virale, iperbolicamente femminile e contraddistinta dai colori brillanti, la #GlitchGoddess è sempre a proprio agio in ogni contesto in cui viene inserita, da Art Basel Miami, alla sfilata di Versace in passerella con Jennifer Lopez. Questo apre sul discorso dell’identità femminile e le identità: l’artista che si identifica come una donna cis-gender, riassume il ruolo della donna nel mondo, e in particolare in quello dell’arte, in questa affermazione: «Brilliant male artists are rewarded young, women artists are rewarded when they’re very old, for persistence».
La #GlitchGoddess è parte di quella serie di indagini di ibridazione degli spazi che prendono il nome di #ArtHacks e che coincidono con la ricerca degli ultimi anni di Moghaddam, ma anche con l’ultima sala dell’esposizione: “Interventions”.
La prima opera che si nota è la scultura Non Binary Nude Glitch, protagonista dell’intervento alla mostra “Nude” del 2016 allestita nella sede di Madison Avenue di Gagosian. Attraverso il mock-up viene inserita questa figura che va a riequilibrare la narrazione. Nell’interesse di Marjan Moghaddam, come sottolineato da lei stessa, non c’è la polemica, quanto piuttosto la genesi di nuove domande e la definizione di un nuovo equilibrio, finalmente libero dal punto di vista maschile a senso unico.
Oltre alla collaborazione con ArtRight Prize, il curatore Filippo Lorenzin sottolinea che «La natura della mostra e la scelta dell’artista sono frutto dell’intenzione di inaugurare l’edificio con una personalità che ha vissuto le tante fasi dell’arte digitale recente. Con Marjan Moghaddam c’è stata la possibilità di partire con una figura che fa da raccordo per certi versi tra un certo modo di fare e intendere l’arte digitale del passato e quello che sta accadendo ora con mixed reality e NFT».
Nelle analisi che puntualmente vengono fatte su queste nuove modalità espressive per cercare di definirle, spesso si ritrovano dei pattern che richiamano il dadaismo. Sempre Lorenzin, che durante il tour inaugurale fa riferimento per primo a DADA, ritiene che certe pratiche legate all’arte digitale, soprattutto quelle degli anni novanta e dei primi duemila, siano direttamente collegate al dadaismo. «Artisti come Vuk Ćosić – afferma il curatore – sono fortemente ispirati ai Dadaisti e non poteva essere altrimenti; la tecnologia digitale è legata al codice, al linguaggio, alla traduzione di valori da un media all’altro, tutti aspetti che erano centrali per il primo Dada. Certi artisti che utilizzano strumenti digitali per creare le loro opere sono coscienti del fatto che la loro pratica si inserisca in un discorso critico che va ben al di là dell’utilizzo di certi software o hardware: MoCDA ha un approccio post-mediale, nel senso che ci interessano le opere che non feticizzano lo strumento o la capacità tecnica in quanto tale».
La mostra è visitabile alle coordinate -23, 115 su Decentraland o seguendo questo link.