Il duo artistico Didymos, composto da Alessia Certo e Giulia Vannucci, nasce nel 2007 con l’intenzione d’indagare il territorio congiunto di pratiche artistiche e filosofia, in particolare quello attuato per mezzo di arti visive e performance.
Partendo dall’affermazione del collettivo secondo cui “l’arte ha uno scopo solo se si pone in relazione con la società”, dal 2015 propongono una pratica interdisciplinare e collettiva per delineare i limiti e le peculiarità sociali: Tentativo di Dubbio.
Diviso attualmente in cinque capitoli, Tentativo di Dubbio è un atto ribelle nei confronti di un presente sociale che non privilegia un approccio scientifico, riflessivo e logico, ma piuttosto uno empiristico, superficiale e individualista.
L’ultima esperienza, in ordine temporale ma non cronologico, è stata presentata presso Nelumbo Open a Bologna. Il duo ha lavorato durante una residenza estiva di poco più di una settimana assieme al Tentativo di Dubbio Research Team, composto da Giuseppe Mongiello e Angelo Camillieri, e il Team Temporaneo a cui hanno preso parte Yoshka, Maria Zurlo, Gabriel Serafini, Beatrice Tozzi, Giada Pignotti, Niyayesh Nahavandy e Alessia Talò.
La restituzione dei capitoli 4 e 5, performati dal gruppo di lavoro, è avvenuta il 17 settembre 2022 .
“Il capitolo 4 parte da un testo base, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica I di Husserl. Ogni capitolo, poi, è strutturato ed esiste grazie alle persone che prendono effettivamente parte all’esperienza. Questa volta per si sono aggiunti Morte e pianto rituale nel mondo antico di Enrico De Martino e I diritti umani da un punto di vista filosofico di Jeanne Hersch” raccontano Didymos nella prima sala espositiva, dove sono inseriti un tavolo con appoggiati dei libri e dei fogli scritti a mano, un luogo in cui sedersi e ascoltare un registratore e, appesa al muro, una frase lunghissima, coperta da una carta traslucida, come se non volesse svelare né la propria natura o significato.
Il processo artistico parte da un assunto filosofico, che è stato analizzato e semplificato dal gruppo di lavoro fino a portarlo a una breve formula logica, quella stessa che è appesa al muro. Questa prima fase argomentativa permette di ragionare in maniera oggettiva, perché ammette nel discorso solo un linguaggio logico, che non lascia spazio ad ambiguità. È come una specie di rituale conoscitivo: le persone che andranno a influenzare a vicenda il proprio modo di operare nell’arte devono per prima cosa parlare la stessa lingua. Solo dopo aver stabilito le regole del gioco si può ragionare, ciascuno in maniera individuale, sull’assunto e la propria percezione. Da cui, i fogli dove sono raccolti i ragionamenti dei partecipanti, o attuanti, sul concetto di epochè.
In questa seconda fase poetica di lavoro si crea un nuovo assunto filosofico, che prende vita dall’esperienza degli attuanti. Un momento conoscitivo e di ampia discussione, forse uno dei più cruciali e privati della performance, ma che gli artisti hanno cercato di mettere a disposizione dei visitatori grazie proprio alle registrazioni.
Passando attraverso lo stretto corridoio dello spazio espositivo di Nelumbo, si arriva alla seconda sala, dove dall’idea, si passa alla pratica: “Abbiamo ragionato assieme sui concetti di presenza, persona e sospensione. Dopo che ciascuno ha letto le proprie considerazioni abbiamo iniziato a pensare al dispositivo”.
Cosa intendete per dispositivo?
“Una restituzione letterale e fisica della nostra esperienza, una messa in pratica del nostro lavoro. In questo caso siamo partiti da una forma, il triangolo. Una volta contestualizzati i tre concetti di persona, sospensione e presenza, nel ragionamento tornava sempre questa forma primordiale e così è nata un’opera ricamata, lavorata in maniera collaborativa da tutti e su cui è stato inserito l’assunto. A questa creazione si è aggiunto un secondo dispositivo composto da filo, legno e un elemento sferico. Ogni attuante teneva un filo, ciascuno dei quali era collegato a quell’elemento pesante come il giudizio, con l’obiettivo di tenerlo appunto in sospensione”.
Quindi, se il fallimento sta nella possibilità che l’elemento non si stacchi da terra e non venga sospeso, tutto il lavoro che è stato fatto prima di quest’ultima fase metaforica ha stabilito invece la possibilità di riuscita, giusto?
“Il fallimento è una condizione naturale se non necessaria alla vita. A partire da questa idea, il dispositivo che è stato creato sembra fragile. Ma quando tutte le forze si uniscono e cooperano creando un momento, sia in senso metaforico che letterale, allora la sospensione esiste proprio grazie alla presenza delle persone”.
Da qui prende il titolo questo quarto capitolo, una pratica collettiva, mentre il quinto, la palestra sociale, da cosa nasce?
“Anche la palestra sociale nasce da un’idea fallimentare, quella della funzione dello sguardo: in un mondo di bombardamento di immagini e contenuti visivi, se lo sguardo non più libero di esistere per quello che è, ma come mezzo filtrante, deve essere ri-allenato e pulito”.
Nella seconda parte della sala e nel giardino ci sono tutti gli esercizi della palestra e un video che testimonia il lavoro fatto dagli artisti.
“Di tutti i capitoli, questo è quello che continua ad evolvere in maniera esponenziale. Ogni gruppo che partecipa all’esperienza è poi chiamato a ragionare sugli esercizi, ad affinarli, aggiungerne dei nuovi, tutti sempre con lo scopo di ridare vita allo sguardo fenomenologico”.
Gli esercizi sono i più vari: da andare in un museo con una collezione di minerali e descrivere quelli che più colpiscono, a tracciare un’ellisse per riequilibrare il rapporto tra corpo e sguardo.
In conclusione, come viene influenzato il fruitore di Tentativo di Dubbio?
“Oltre alle installazioni che rimangono, un ruolo fondamentale lo svolge l’archivio. Lasciamo sempre ampio spazio alle testimonianze scritte, registrate e/o videoregistrate, così come alle incursioni durante le residenze, per cercare di raccontare in modo induttivo ciò che in realtà è comprensibile solo in maniera limitata da chi non ha vissuto in prima persona. Il termine ultimo è che le nostre azioni possano generare nel fruitore un mutamento, così che il dubbio possa continuare a esistere”.